Quando si parla di dipendenze immediatamente si è portati a pensare all'abuso di sostanze e a ricondurlo ad alcune precise 'categorie sociali': i giovani, gli emarginati, le persone sole. Eppure – anche se poco se ne parla – sono sempre più diffuse quelle forme di dipendenza che non riguardano direttamente le sostanze e che toccano da vicino persone di tutte le età e di diverso ceto sociale.
Tra queste spicca il gioco d’azzardo compulsivo. Un fenomeno che solo nella nostra Regione colpisce oltre 60mila persone e che cresce costantemente anche a fronte del progressivo ampliamento delle proposte di gioco, della moltiplicazione degli spazi (fisici e virtuali), e delle martellanti campagne pubblicitarie, attraverso spot televisivi, giornali, riviste, grandi cartelloni.
“Una malattia da cui forse non si guarisce mai completamente”, la definiscono gli ex giocatori; una vera e propria patologia, che però ancor oggi stenta ad essere riconosciuta dallo Stato come tale. Basti pensare che non è inclusa nei Livelli Essenziali di Assistenza e che di conseguenza non vi è nessuna garanzia per i giocatori compulsivi di poter accedere a strutture sanitarie pubbliche.
Dinnanzi ai vuoti lasciati dallo Stato – legati probabilmente ai forti guadagni che le casse pubbliche traggono da questo fenomeno - sono tuttavia molteplici i percorsi di recupero portati avanti sperimentalmente dalle singole regioni e da numerose realtà del privato sociale (associazioni, cooperative, centri di accoglienza,…).
Per questo BandieraGialla ha scelto di indagare sul gioco d'azzardo compulsivo partendo, non soltanto dalle sue dimensioni e cause (attraverso la lettura fatta dal CoNaGGA – Coordinamento Nazionale Gruppi per Giochi d’Azzardo), ma anche dall’esperienza diretta delle organizzazioni che in Emilia Romagna promuovono questi percorsi di recupero e dalla testimonianza di coloro che, proprio grazie a queste realtà, sono riusciti ad uscire dalla dipendenza.
Le esperienze dell’associazione Giocatori Anonimi di Bologna, della cooperativa Lag di Vignola e del Centro Giovanni XXIII di Reggio Emilia: realtà differentemente strutturate, ma accomunate da metodologie terapeutiche incentrate sulla logica e l’importanza del gruppo, sull’auto aiuto e sulla condivisione di esperienze, problemi e successi.
Le testimonianze e le storie di vita di Andrea e Franco, giocatori usciti dalla dipendenza frequentando il gruppo dei Giocatori Anonimi. Il racconto di Vittorio, barista bolognese che ha scelto di togliere dal suo locale le macchinette e le slot.
E proprio sulla dipendenza da gioco nei bar di Bologna si incentra anche l’indagine promossa dall’Osservatorio Epidemiologico Metropolitano Dipendenze Patologiche dell’AUSL, da cui si evince come questa patologia non riguardi categorie specifiche di soggetti, ma persone differenti, tendenzialmente etichettate come “normali”.
Chiude l’inchiesta l’intervista al Professor Pani, docente di Psicologia Clinica all’Università di Bologna, che fa un quadro delle nuove dipendenze ‘senza sostanze’: il gioco d’azzardo, la dipendenza da cibo, lo shopping compulsivo, l’internet addiction.