Dopo il boom informativo degli anni Novanta, che ha cercato di arginare l'emergenza dell'AIDS, a che punto è l'informazione su questo tema? Quanto si parla di AIDS e Hiv, e soprattutto come se ne parla? Quanto sono informati i giovani? Indubbiamente i nuovi contagi non fanno più notizia. Il tema sembra essere meno pericoloso del passato: le terapie funzionano, e chi ha già il virus può non ammalarsi. Ma a fronte di questo calo del risalto mass mediatico, si assiste anche a un calo della percezione del rischio. Eppure le nuove infezioni da Hiv sono in aumento costante, circa 400 casi all'anno solo in Emilia-Romagna. I nuovi casi sono al 90% derivati da rapporti sessuali, il 53% eterosessuali, il 28% omosessuali e bisessuali. Ciò significa che non si può più parlare di categorie a rischio, ma solo di comportamenti a rischio: dunque anche l'informazione deve riguardare tutti. E non soltanto durante la Giornata Mondiale di lotta all'AIDS.
La nuova inchiesta di BandieraGialla indaga proprio questi aspetti, con un'attenzione particolare al mondo giovanile. Il racconto delle attività dello Spazio Giovani, che lavora con i ragazzi dai 14 ai 20 anni, e il video con le interviste agli studenti fermati per strada a Bologna è significativo: c'è molta confusione sul virus, su come si trasmette e soprattutto sulla differenza tra essere malato o sieropositivo. Scarsa anche l'attenzione all'uso del preservativo, in qualche modo i ragazzi pensano che l'argomento AIDS non riguardi ancora il mondo giovanile. Diego Scudiero, presidente della LILA Bologna, pone l'accento anche su un altro aspetto: le informazioni negli anni si sono tramandate per narrazione orale, creando così una vera e propria mitologia sull'Hiv. Inoltre fare informazione e prevenzione sull'AIDS significa anche entrare nello specifico di termini sessuali, cosa sulla quale esiste ancora un tabù. Per migliorare l'informazione e la prevenzione bisognerebbe puntare su campagne a diffusione continua, mentre l'ultima campagna della Regione Emilia-Romagna si ferma al 2008. E' molto difficile, inoltre, avere degli studi comportamentali e individuare i nuovi casi di Hiv tra gli eterosessuali: Vanni Borghi, infettivologo, spiega che molto spesso gli eterosessuali si recano a fare il test quando sono già comparsi i primi sintomi della malattia, per cui al momento della diagnosi sono già malati. Ci si dovrebbe sottoporre al test con regolarità, come se fosse un esame del sangue di routine. Ma lo stigma che accompagna l'AIDS è ancora molto alto, afferma Elda Caldari della Commissione Aziendale USL della Provincia di Bologna; inoltre è molto difficile parlarne col proprio medico di famiglia, per questo l'Azienda USL ha avviato vari progetti, tra cui C.A.S.A., il Centro Attività Servizi AIDS che punta sull'anonimato. Chiude l'inchiesta la testimonianza di Guglielmo Pepe, uno dei più noti giornalisti medico-scientifici, sulle logiche che guidano spesso e purtroppo l'informazione.
Informazione e AIDS: fine delle trasmissioni?
Articolo scritto da Valeria Alpi Lunedì 7 Giugno 2010
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