E' uscito il numero di marzo del giornale di strada Piazza Grande, di cui vi anticipiamo un articolo dedicato a un'area dimenticata della nostra città.
di Bianca Arnold/Ci sono luoghi di Bologna, in cui puoi passarci e ripassarci senza scoprirli mai. Davanti, dietro, dentro. Magari li vedi tutti i giorni. Magari ci abiti affianco. Eppure ti sfuggono. Perché non sembrano luoghi, perché sembrano “morti”, oppure insignificanti e dunque invisibili. Oppure pensi che sarebbe interessante scoprirli ma ovviamente hai sempre qualcos'altro da fare. Insomma, abbiamo pensato che anche i posti, come le persone, hanno una vita, un'identità, che non sempre viene compresa e accettata. Ogni mese cercheremo di incontrarne uno, farci raccontare la sua storia e farlo vivere anche qui, nelle nostre pagine.
Dove una volta c'era una fabbrica di carri armati, ora c'è un lugubre Mondo delle Meraviglie.
Dopo essere cascati nella tana del Bianconiglio, si sbuca tra travi e mattoni post-apocalittici.
Si fa conoscenza della Bambina Blu, di Tentacoli Viola, Pinocchio Triste, dalla Ragazza Luna alla Ragazza Nuda che Cavalca i Lupi. Poi Due Enormi Insetti come guardie delle colonne d'Ercole. E molto Altro. Anche abitanti umani, sebbene più difficili da incontrare.
È l'Ex-Staveco. La cui storia ha inizia nel 1796 quando i francesi comandati da Napoleone instaurano un ospedale e una caserma in alcuni edifici dell’adiacente Convento dell’Annunziata.
Da più di trecento anni dedita a funzioni militari, tra Porta San Mamolo e Castiglione, venne chiusa definitivamente negli anni 90. I progetti ufficiali che la vogliono coinvolgere oggi sono diversi, ma ancora nessuno ha preso piede, da aula studio, residenza ad ampliamento del parcheggio già esistente.
Ora, dopo quasi trent'anni, invece di dare vita a macchine per la morte, fa germogliare immaginari artistici e (non meno importante) dà un (quasi) tetto a molte persone. Non è una frontiera. È un confondersi di confini fra la città e i colli. Ed è per questo che non si limita all'essere muro per graffiti, ma molto di più. Un orto, per esempio. Come artista che si vive questo spazio, non bisogna considerarsi soli e padroni del luogo, perché nessuno è solo alla Staveco, e soprattutto nessuno ne è il padrone. Quello che puoi crearci non è solamente tuo, ma è parte del luogo che si è donato per la creazione. Ma non è un luogo immobile. Per quanto statico nel tempo e nell'abbandono, cambiano i dipinti, le persone che ci creano e quelle che ci vivono. Ogni tanto qualche trave si sposta. Quando la nostra civiltà finirà perché l'abbiamo distrutta, forse il mondo sarà come la Staveco. Una rovina, in cui crescono arte ed erbacce.