
di Roberto Cavalli/Il 2018 si è chiuso, purtroppo, con il ritorno, in grande stile, del sovraffollamento all'interno dei penitenziari italiani. Nulla di realmente nuovo sotto il sole, se non la conferma di un trend che, a causa anche di politiche poco accorte, è tornato a crescere in maniera esponenziale e che, dopo alcuni anni di tregua, ha avvicinato pericolosamente il tetto delle 60 mila presenze.
Il rischio è che il nostro paese, come già accaduto, nel 2013, con la sentenza Torreggiani, possa ricevere una nuova condanna dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) per violazione della dignità umana delle persone detenute e del loro diritto ad una detenzione che non sia afflittiva oltre misura.
Combattere e dare soluzione al generale fenomeno del sovraffollamento carcerario si può. Ma per fare ciò, è essenziale che le istituzioni politiche e giurisdizionali dello Stato si dimostrino disponibili ad una evoluzione della propria mentalità in tema di punibilità dei comportamenti criminali.
Il nuovo abito culturale che si viene così a modellare, frutto di un diverso approccio alla materia, è destinato, con il passare del tempo, a riflettersi in atti normativi o in decisioni giurisprudenziali che, per mezzo di idee innovative ed originali, permettono di modificare il sistema dell'esecuzione penale in vigore, plasmandolo in termini maggiormente favorevoli alla collettività e alle persone condannate.
Un esempio abbastanza recente di questo argomentare ci viene fornito, sul piano giurisprudenziale, da un'autorevole pronuncia della Corte costituzionale tedesca la quale ha stabilito che l'autorità penitenziaria statale deve rinunciare ad eseguire la pena nei confronti del condannato se la condanna produce effetti lesivi della dignità umana, valutata dai giudici della Corte, come incomprimibile, in modo assoluto, anche in rapporto a qualsiasi altro bene costituzionalmente tutelato.
Il rinvio dell'esecuzione carceraria avviene mediante apposite "liste d'attesa penitenziarie" che permettono di neutralizzare, alla radice, un eventuale sovraffollamento delle strutture detentive e, al tempo stesso, consentono un notevole risparmio economico e una minore incidenza della recidività negli autori di reato i quali, grazie a questa misura, potranno ricevere una maggiore attenzione da parte dell'istituzione carceraria che non sarà più costretta ad occuparsi esclusivamente dei problemi legati alla vivibilità degli spazi, entro cui i condannati sono obbligati ad espiare la propria pena, ma potrà assicurare loro un percorso di reinserimento sociale adeguato e duraturo.
L'adozione, anche da noi, di questo strumento di programmazione degli ingressi in carcere avrebbe il grande vantaggio di incanalare le risorse economiche destinate al sistema penitenziario non più verso la costruzione di nuove carceri (falsa panacea di tutti i mali), ma verso un potenziamento delle misure alternative alla detenzione che di fatto contrasterebbe la visione “carcero-centrica” della sanzione penale continuamente cavalcata dal mondo della politica e dei mezzi d'informazione. In aggiunta a questo, non sarebbe più necessaria l'approvazione, da parte del Parlamento, di atti di clemenza quali l'indulto perché il numero dei condannati da alloggiare negli istituti di detenzione sarebbe sempre equivalente alla loro capienza effettiva e regolamentare. Così facendo, inoltre, verrebbero meno le reazioni negative dell'opinione pubblica che considera tale provvedimento legislativo assai pericoloso perché, dopo la sua applicazione, darebbe vita - ma a livello percettivo e non suffragato da dati scientifici - ad un aumento dei reati violenti e predatori e, quindi, ad una diminuzione della legalità e della sicurezza.
A volte, per migliorare il benessere complessivo della società basta davvero poco: il coraggio di agire e la volontà di cambiamento. Pensiamoci.